Tra un anno esatto sarà Sabato Santo

In questo Venerdì di Passione, inizia il conto alla rovescia che ci porterà al Sabato Santo 2021. Condividiamo il messaggio di una nostra Consorella.

È sempre così, ormai mancano 365 giorni, non si può descrivere quella sensazione. Un pellegrino potrebbe capire, ma non comprendere fino in fondo il mistero della processione del sabato santo. Due piedi scalzi e un volto coperto. Piedi che solitamente vanno ad un ritmo scoordinato su strade sbagliate, in questo giorno si denudano e camminano sulla strada così fredda che brucia, quella giusta, per offerta. Il volto è coperto, lo stesso volto che spesso indossa maschere, le più disparate, dimenticando di trasfigurarsi. Quel volto di solito accarezza, accetta, adora le paure da cui si nasconde. Quel volto, spesso superbo, ora si ricopre di bianco, non si manifesta agli occhi degli altri, perché la penitenza non va sbandierata. E senti freddo, sei stanco e pesante, è ancora l’alba. Mentre il mondo si risveglia, tu cammini e segui la melodia, il ritmo della banda, mentre il tuo cuore prega, offre e soffre e gli occhi si bagnano sotto quel cappuccio. Quel cappuccio per me è un nascondiglio, una sorta di campana di vetro che mi preserva. Il sabato mattina è la mia salita al monte, è la realizzazione di un esame di coscienza che non ho il coraggio di fare tutto l’anno. Il mio setaccio. Mi guardo dentro e peso le mie azioni. È un momento di amore intenso: ho il coraggio di fare una preghiera viva, in un gesto, un’offerta fisica e mi porto sulle spalle gli affanni, le paure, le preghiere, le speranze, le malattie di quanti sento a me cari. Quel sabato non è un privilegio, ma una responsabilità. Quante volte la pigrizia, il malessere fisico mi hanno messo un freno. Oggi piango, perché mi manca misurarmi il camice, iniziare a cercare la mia corona di spine; una piccola, ma piene di spine. Spesso in questi anni ho cambiato spinella, tante volte mi sono graffiata gli occhi e la fronte, ma senza imparare mai a guardare, a vedere, mai. Come vi sembra il mondo visto dai due piccoli fori del cappuccio? Come vi sembrano le strade della nostra Mottola? Ogni volta è come se fosse un posto nuovo. Noi che camminiamo, dritti, in ordine, lenti, nazzicando. Assistiamo al risveglio di un paese. Il freddo, il gelo, i volti appena svegli. C’è chi fa capolino da dietro la tenda del cucinino, chi si mette sulla soglia della propria casa indossando il giubbotto sul pigiama, chi si affaccia al balcone, chi ha messo su il caffè. Noi passiamo e peregriniamo. E si sentono i sospiri, si legge il dolore o la commozione negli occhi di molti. Ci conosciamo tutti, ma quella mattina siamo sempre un po’ spaesati. Anche chi non crede assiste a quel lento peregrinare, con cura e rispetto. Le paranze avanzano, con il cordone stretto alla cintola, chi porta il bordone, chi un rosario, chi si carica del legno della croce, chi ha sulle spalle i misteri. Poi ci sono loro, i bandisti. Ancora non sapevo camminare e già desideravo fare la processione. Il mio cuore innocente non capiva un bel niente della fede, della religione e dei riti. La musica sì, la capivo. La sentivo. La ascoltavo e ne ero rapita. Mi guardavo intorno e osservavo quegli strumenti giganteschi, scrutavo i musicisti, ero affascinata dal loro leggere la musica, dal loro modo di mettere le mollette alle partiture. E poi le divise, tutte uguali. Alcuni di loro avevano la faccia rossa per il freddo e per il cammino, altri erano stanchi e provati per il peso dei loro strumenti, compagni della lunga e lenta camminata, come la grancassa e il pesante basso tuba. Crescendo ho imparato quale ruolo abbiano musici e cantori nella Bibbia e forse fin da piccola avevo colto la loro importanza: essi accompagnano il popolo di Dio nelle imprese. Ai giorni nostri, nella nostra società, molti pensano che la processione sia una parata, una mera rappresentazione. Non è così. Noi non ci facciamo alcun idolo. Noi camminiamo e preghiamo, seppur con i nostri abissi di imperfezione. Alla sequela di Cristo. Vivendo quel momento in unione con Lui. La verità è che la settimana Santa, tocca tutti cuori. Sarà per i riti suggestivi, sarà per la fede, ma è un momento dell’anno che tocca tutti. Nell’aria si respira come una nebbiolina frizzante che genera uno stato d’animo di malinconia ma pieno di speranza, del “già ma non ancora” e a me piace. Mi piace quella mattina accogliere le persone senza guardarle in viso, perché dal volto coperto, ma amo vedere la verità dei loro sguardi attraverso quelle due piccole fessure. Osservo e contemplo la nudità dei loro piedi. Dai piedi capisci sempre tante cose e vedi la persona per come è. La vedi senza costruzioni, senza imbellettamenti. Verifichi il peso di un’esistenza e l’impronta della sua vita su questa terra. Noi camminiamo, senza sosta, anche quando non abbiamo più parole per le nostre preghiere. La nostra voce interiore si accorda alle note delle marce funebri.

Mafalda Greco




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